Skip to content

Aldo Moro, l’Italia e l’impero americano

Aldo Moro, l’Italia e l’impero americano, di Richard Drake* — originally appeared in Mondo Contemporaneo, n 1-2016.

Nella percezione popolare in Italia oggi, il caso Aldo Moro ha oscurato quasi completamente la memoria della vita e della carriera di questo statista. Per la maggior parte, l’opinione pubblica italiana non ha fiducia nel verdetto ufficiale del caso, cioè che i terroristi marxisti-leninisti delle Brigate rosse furono i soli responsabili per ii rapimento e l’uccisione di Moro nel 1978. Assai diffusa sembra essere la convinzione che elementi sleali nel governo italiano, sotto la direzione o con la complicità degli Stati Uniti, lo avessero abbandonato al suo destino atroce. Per trentotto anni ha continuato a circolare una sovrabbondanza di teorie cospirative tese a spiegare in che modo e perché veramente Moro mori. Queste teorie hanno prodotto una mole di libri e di film. Articoli giornalistici da prima pagina tornano, di tanto in tanto, a promettere una risoluzione dei misteri ormai identificati con ii nome di Moro. Le promesse, pero, non sono state mantenute. Finora, ogni articolo di questo tipo si e rapidamente ridimensionato nei giorni successi­ vi, di solito nelle pagine interne dello stesso giornale, lasciando nondimeno la forte sensazione che la verità sulla tragedia di Moro sia ancora nascosta. A parte queste polemiche in merito alla sua morte, Moro, in quanta statista e pensatore politico, non sembra contare molto oggi.

La nuova pubblicazione dell’intervista di George L. Masse su Moro e dunque benvenuta per l’opportunità che ci dà di riconsiderare ii patrimonio intellettuale e politico dello statista. Questa prestigioso professore america­ no dell’Università di Wisconsin, largamente considerato come uno dei grandi storici del ventesimo secolo, ebbe una fama particolarmente notevole in Italia, in parte a causa del suo stretto rapporto con Renzo De Felice ed altri storici italiani di primissimo rango, che considerarono la sua analisi delle origini culturali ed intellettuali de! nazismo un capolavoro. Sebbene Masse non fosse un esperto di storia italiana, da tempo si era appassionato allo studio della democrazia parlamentare, una passione condivisa da parte di Moro. II sociologo Giancarlo Quaranta, direttore della Fondazione Moro e grande ammiratore di Mosse, lo contattò per un’intervista, che fu inclusa nell’ Intelligenza e gli avvenimenti: Testi 1959-1978. Quest’antologia di scritti morotei vide la luce nel 1979. Oggi l’intervista viene di nuovo pub­licata a cura di Alfonso Alfonsi e con una prefazione dello storico Renato Moro, un nipote dello statista, e una nota critica di Donatello Aramini, uno studioso dell’opera di Mosse.

Mosse ritenne che le idee di Moro fossero una reazione ai problemi sempre più gravi che stava attraversando la democrazia parlamentare. Per molti anni il leader di spicco del partito dominante in Italia, la Democrazia cristiana, Moro, ebbe un’esperienza diretta dei seri problemi politici del paese. Il problema fondamentale era rappresentato dalla scarsa partecipazione degli italiani al sistema politico. II Sud, dove Moro era nato, in parti­colare, on fu mai ben integrato nel paese. Infatti, tanto dal punto di vista economico che da quello culturale, il Nord e ii Sud si svilupparono come due nazioni diverse. Un aspetto della Guerra Fredda creò un altro problema. A causa del conflitto tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, solo ii maggiore partito filoamericano, cioè la DC, poteva guidare ii governo. L’Italia era parte della sfera di influenza americana in Europa e che ii partito comunista fosse coinvolto nel governo italiano era impensabile a Washington. Il ragionamento di Moro fu che un governo sempre basato sul medesimo partito, rafforzato dal potere degli Stati Uniti, non avrebbe potuto adempiere alla missione di dare vita a una società veramente democratica. Per essere autentica ed efficace, la democrazia italiana doveva espandere la sua base di sostegno popolare. Quindi, Moro si giovò prima dei socialisti e poi, molto più audacemente, dei comunisti come alleati, o almeno come “compatrioti cooperativi”, per sostenere ii governo.

Usando la metodologia del suo ben noto libro, The Nationalization of the Masses(1975), Mosse analizzò le idee di Moro partendo dalla convinzione della necessità dei simboli, dei miti e dei riti per stabilire un rapporto dinamico con II popolo in una democrazia forte e sana. La democrazia par­lamentare in Italia non aveva visto svilupparsi un rapporto di questo tipo. Più di ogni altro leader politico in Italia, Moro vide i pericoli per ii paese in una situazione politica in cui tanta parte della popolazione era alienata rispetto al sistema di governo e si poneva attivamente in opposizione ad esso. In Italia, le culture radicali della destra e della sinistra erano sempre state ben radicate e potenti. Moro capì subito ii significato preoccupante dell’esplosione neofascista del 12 dicembre 1969 a piazza Fontana a Milano. Ebbe la stessa preoccupazione quando le Brigate rosse ed altri gruppi eversivi della sinistra rivoluzionaria iniziarono i loro attacchi terroristici. Entrambe queste minacce emersero durante la crisi economica al termine del boom del dopoguerra. Nello stesso momento, le università divennero campi di battaglia in cui masse di studenti vollero vivere la rivoluzione e le azioni dei sindacati nelle fabbriche sfociarono in episodi di violenza.

Mosse guardò a Moro con molta simpatia. Gli sembrò che negli anni Sessanta e Settanta Moro avesse dovuto confrontarsi con ii problema su­ premo di tutti i capi democratici, nella sua forma più acuta: in che modo poter ispirare nelle masse un sentimento di devozione e lealtà verso ii sistema parlamentare. Appassionato egli stesso della democrazia parlamentare, Mosse, pur auspicando ii trionfo di questo sistema politico ovunque, ne riconobbe tuttavia la mancanza di fascino carismatico, soprattutto nei tempi di crisi. 11 fascismo e il comunismo – considerazione amaramente ironica per un democratico – con assai più grande facilità avevano potuto ispirare le loro masse con un senso storico di missione. Per Mosse la soluzione a questo problema nei paesi democratici poteva essere trovata in una combinazione persuasiva di simboli, miti e riti capaci di legare le masse emotivamente e psicologicamente alla vita democratica.

Quindi, secondo Mosse, i sostenitori de!sistema parlamentare devono scoprire metodi più attraenti per promuoverlo, dato che lo ritengono ii migliore “prodotto” disponibile. E molto interessante che Mosse citi gli Stati Uniti come un paese ben dotato di simboli, miti e riti democratici. Tuttavia anche Ii un cumulo di guai economici e guerre sbagliate ha creato I’idea largamente diffusa che ii sistema politico americano sia un meccanismo controllato dai gruppi di pressione che comprano i voti dei parlamentari. Mosse parla della cattiva reputazione del sistema parlamentare in quanto sistema al servizio dei soli ceti elitari. Sembra una reputazione che il sistema parlamentare meriti, e che  nessun incanto simbolico, mitico e ritualistico possa compensare.

il patrimonio politico di Moro, un uomo moderato e prudentemente realistico, sarebbe d’interesse oggi più per i problemi da lui segnalati che per le sue soluzioni, tranne forse una. Alcuni di questi problemi sono oggi an­ cora più gravi di allora, quarant’anni fa. Il Sud langue in condizioni penose, e adesso potrebbe declinare ancora di più in conseguenza della perdita sempre crescente dei suoi laureati universitari e dei suoi professionisti giovani più preparati. La questione meridionale, storicamente dal Risorgimento in poi una sciagura nazionale, rimane ancora senza una giusta risposta. La prima preoccupazione in Italia oggi e la crisi economica, la quale ha creato un livello di disoccupazione del dodici per cento, di cui sono i giovani a soffrire di più. Molti in Italia, anche nella borghesia, hanno paura di un destino che Ii veda precipitare nell’abisso della povertà. L’Italia è un paese di moltissimi anziani insicuri e pochi giovani senza prospettive. Secondo i sondaggi più recenti, la popolazione non ha più fiducia. Le università, inondate di violenza ai tempi di Moro, oggi sono in crisi per un motivo diverso. Le iscrizioni alle università sono in calo, e l‘Italia rischia di avere una seria deficienza di laureati soprattutto nell’area delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica. L’attività criminale, che una volta si riteneva essere un problema particolarmente grave nel Sud, oggi è, agli occhi d1 tutti, un grosso problema nazionale. La salute civica del paese a più che mai logorata dalla corruzione. La fiducia nella legge, mai robusta in Italia, adesso sembra scomparsa.

Un problema di cui Moro non ebbe esperienza sembra invece essere oggi quasi pari alla crisi economica negli incubi che spaventano gli italiani: un afflusso immenso di immigrazione islamica dal Medio Oriente dall’Africa del Nord. Da lungo tempo in Europa un gran numero di extra­-comunitari di varia provenienza ha alimentato movimenti e partiti xenofobici, ma ora dai paesi islamici milioni ne stanno per arrivare, e le autorità prevedono che altri milioni ancora arriveranno nel prossimo futuro. Saranno solo le prime ondate in un mare di umanità indigente. Le notizie sulle prime pagine dei giornali annunciano che tra poco l‘Europa cambierà per sempre a causa di questa inondazione di persone di limitatissima capacità di assimilazione rispetto alla cultura di un vecchio continente sempre più laico. Gli europei si trovano faccia a faccia con l’ignoto. Quali saranno i risultati politici di questa rottura nello sviluppo storico europeo è difficile prevedere. In Italia, però, una forte crisi economica al solito non ha bisogno di altri motivi per produrre condizioni ideali per un radicalismo politico. Oggi I’ansietà motivata dall’incertezza economica trova nel torrente di immigrazione che si riversa in Italia una forza supplementare per aggravare la crisi.

Un problema ben compreso da Moro rimane ancora al cuore dell’esistenza nazionale degli italiani: il loro posto nell’impero americano. La realtà di una rete enorme di basi americane in Italia venticinque anni dopo la fine della Guerra Fredda e il collasso dell’Unione Sovietica è chiaramente indicativa del vero rapporto tra i due paesi. Moro e tutti gli altri leader politici del dopoguerra dovevano pensare alla realtà del potere americano. Più di ogni altro tra questi leader, Moro tentò di adattare le aspettative di Wa­shington alle esigenze della democrazia italiana. Cercando una soluzione per la crisi politica m Italia, egli propose un compromesso storico coi comunisti. La sua proposta non trovò ii favore di Washington né dei conservatori italiani. Tutti costoro videro in Moro un uomo profondamente e pericolosamente in errore. Secondo una certa logica politica, senza, però, nemmeno un brandello di prova, tanti pensarono e pensano ancora che Moro mori, in ultima analisi, per la volontà degli Stati Uniti, in un complotto con rari ufficiali corrotti in Italia, di lasciarlo al suo destino crudele. In quest’analisi complottistica le Brigate rosse furono solo gli uomini che premettero il grilletto dell’arma.

La questione de!rapporto dell’Italia con l’impero americano e delle sue conseguenze concrete non è affrontata nell’intervista di Mosse. Avrebbe dovuto esserlo. Il suo collega presso l’Università di Wisconsin, William Appleman Williams, spiegò nel suo capolavoro, The Tragedy of American Diplomacy (1959), precisamente che cosa significarono in realtà ii Piano Marshall e la Nato. Queste misure ebbero lo scopo di solidificare e sistematizzare ii controllo americano sull‘Europa Occidentale soprattutto per la protezione del capitalismo internazionale.  Questa controllo esiste ancora e raggiunge adesso i confini russi. Quindi, per spiegare i limiti della democrazia parlamentare in Italia non e sufficiente ragionare, alla maniera di Mosse, in merito ad una mancanza di simboli, miti e riti. Per fortuna, gli italiani hanno i loro classici storici insuperati per capire le dinamiche umane della storia che non cambiano mai, principalmente Leonardo Bruni, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini. Tra i loro pensatori politici Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto ed un ebreo tedesco molto italianizzato, Roberto Michels, possono anch’essi aiutare. Questi uomini capirono come funziona ii potere, e non si lasciarono condizionare dalle mere parole.

La grandezza di Moro come statista e la sua idea politica di estrema at­ tualità concernono il suo disegno per difendere l’Italia dalle conseguenze di una strategia proveniente da Washington totalmente indifferente alla condizione reale della democrazia italiana. Come ha scritto Chalmers Johnson nella sua trilogia Blowback(2000, 2004, 2006), per Washington ogni argomento è sempre sussunto nell’ ambito della considerazione numero uno: la sicurezza dell’impero americano, iiquale e composto di approssimativamente mille basi militari in tutto il mondo. A prescindere da burocratiche sfumature di contabilità, ii bilancio militare degli Stati Uniti vale un trilione di dollari. Dal momenta che gli interessi de!paese si estendono dappertutto nel mondo, la difesa non significa più la protezione de! territorio nazionale. Vuol dire che gli americani devono assumersi il dovere della protezione militare del pianeta. Johnson ha impiegato il termine “blowback” , cioè “ricadute”, per descrivere le conseguenze non intenzionali di misure erronee e distruttive per far progredire l’impero americano. Scrivendo da un punto di vista conservatore, vecchia maniera, in opposizione netta al neoconservatorismo oggi egemonico nella politica estera degli Stati Uniti, Johnson teme che ii militarismo e l’imperialismo porterebbero oggi nel suo paese allo stesso destino che tocco all’impero romano. L’ultimo volume della trilogia, Nemesis: The Last Days of the American Republic,deriva de! resto la sua ispirazione dal libro classico di Edward Gibbon, The Declineand Fall of the Roman Empire.

Moro capi ii fenomeno delle “ricadute“, ma lo vide alla luce dei problemi italiani. La democrazia parlamentare in Italia funzionava male con conseguenze sinistre per iipaese, soprattutto la minaccia del terrorismo. Egli non fu un radicale anti-americano che sognava di abbattere il sistema. Istintivamente, cerco di scoprire la via di compromesso. Ad ogni modo, un radicalismo di questo tipo non sarebbe stato utile contra un potere america­no irresistibile. L’unica cosa possibile da fare per Moro, o per qualsiasi altra persona nella sua posizione, fu questa: parlare chiaro in merito al vero significato di una democrazia mancata in Italia. Moro e gli americani, però, furono sempre interlocutori sordomuti. Come dice Mosse, per lo statista italiano la democrazia parlamentare fu un valore politico senza paragone. Un governo di questo tipo doveva respirare sul serio l‘aria democratica per vivere.Solo costi I’Italia avrebbe potuto evitare l’alienazione e la violenza che egli previde nel futuro dei paese anche in forme più minacciose di quelle allora in corso. Per gli americani, sia repubblicani che democratici, le ricadute in Italia temute da Moro non giunsero al livello di una vera emergenza che richiedesse un cambiamento nella politica imperiale. La quarantena anti-comunista rimase l’obiettivo più importante.

Come disse anche Mosse, per Moro il Pci non era per nulla una forza rivoluzionaria. Da lungo tempo ii partito aveva subito una trasformazione riformistica. Aveva dimenticato la lingua rivoluzionaria e non Ia parlò più, nemmeno in occasione delle cerimonie liturgiche del partito. Il movimento della sinistra extraparlamentare, le Brigate rosse incluse, fece questa stessa valutazione. Le comunicazioni delle Brigate rosse, echeggiando Ia galassia intera della sinistra extraparlamentare, condannarono il Pci come un tempio profanato dai riformisti della peggior specie. Vivere la rivoluzione divenne la Causa della sinistra extraparlamentare. Questa fede voleva dire prima di tutto un divorzio dal comunismo ufficiale e dai suoi progetti di compromesso con la classe degli sfruttatori. Guidato dai testi canonici del marxismo-Ieninismo, II movimento extraparlamentare Ianciò una maledizione contra  la cultura del riformismo dentro cui ii cadavere del Pci fu catturato come una mosca in un contenitore d’ambra. Nessuno più di Moro conobbe la scena politica italiana e capi che i comunisti non avevano nessun’altra opzione ormai se non la democrazia parlamentare.

Gli americani, però, da lontano percepirono la situazione italiana solo nel contesto della Guerra Fredda, non come un Iaboratorio per correggere i problemi dellademocrazia. Far scudo all’Europa dal comunismo ebbe Ia priorità più alta per lo stesso scopo di oggi, ovvero per attendere con sollecitudine ai propri interessi economici e strategici. Nonostante Ia fine della Guerra Fredda, le basi militari americane sono ancora Ii per Io stanziamento di truppe e  mezzi militari. Il problema ora per gli europei e forse per gli italiani più di tutti, data la posizione geografica dell’Italia, concerne le ricadute delle operazioni militari ufficialmente internazionali condotte nel nome della Nato, ma di fatto intraprese per motivi strettamente americani. Nei momento in cui vaste regioni del Medio Oriente crollano in rovina in seguito alle guerre combattute per interessi americani, l‘Europa si trova inondata di profughi e minacciata più che mai daattacchi terroristici lanciati da gruppi islamisti radicali. L‘Italia è ii paese più esposto e vulnerabile a questi attacchi e migrazioni prodotti dalla risposta americana all’11 settembre. Moro disse che uno statista è qualcuno con la capacità di vedere le conseguenze di una politica domani e dopodomani. Egli possedeva questo potere, ma le ricadute odierne dell’impero americano sull’Italia potrebbero superare le sue peggiori paure di ieri.

Published inNotebook

Be First to Comment

Leave a Reply