On 19 October 2021, Avanti! on Line published a review of The Revolutionary Mystique and Terrorism in Contemporary Italy. The reviewer, Salvatore Sechi, teaches history at the University of Bologna. About Italy’s harrowing experiences with terrorism he writes, “Richard Drake has synthesized effectively the siege between iron and fire in which our State has lived and lives.”
Richard Drake e la mistica rivoluzi onaria in Italia
di Salvatore Sechi
Nel suo recente lavoro (The Revolutionary Mystique and Terrorism in Contemporary Italy, Indiana University Press 2021), Richard Drake ha sintetizzato efficacemente l’assedio tra il ferro e il fuoco in cui è vissuto, e vive, il nostro Stato, il rapporto di esso con la società civile. L’ha chiamata mistica rivoluzionaria usando lo stesso termine identitario per l’estrema destra (il fascismo) e l’estrema sinistra(le Brigate rosse e dintorni).
In queste settimane si è tornati a rinverdire un’antica querelle: tra fascismo e anti-fascismo, tra la necessità di condannare il primo, insieme al comunismo con la consacrazione (non accolta unanimemente) di entrambi come mali assoluti. Non si tratta, com’è subito evidente, di un verdetto storiografico. E’ piuttosto un lessico inventato per impaurire la gente e fare cassa, bigoncio elettorale.
Basta, per togliergli ogni valore euristico, formulare una semplice domanda: se il fascismo fu il male assoluto, quali termini, aggettivi, usare per il nazismo che condannò a esequie clandestine milioni di ebrei? E il comunismo per il pari,mi sembra, numero di morti nel genocidio, ordinato da Stalin, in Ucraina nel 1932-1933?
Il punto da cui dobbiamo partire sono i perico li di cui fu ostaggio il regime tendenzialmente li beral-democratico creato in Italia dopo il Risorgimento, nel 1871.Essi delineano non degli avversari, ma dei nemici mortali. Come dire che la demo crazia italiana è stata sempre sotto l’occhio del ciclone, cioè a rischio di deroga.
E’ vero che alla fine non succede niente. Il fuoco si spegne. Lascia scintille sotto la cenere, e vince la mediazione, un infinito compromesso e anche trasformismo.Fu l’area invincibile che da Giovanni
Giolitti arriva ai governi guidati dalla Democrazia cristiana.
Dunque l’estremismo di destra e di sinistra viene neutralizzato.Ma questo non esclude che possa,sep pur brevemente, rinascere. Di qui la necessità di chiedersi perchè in Italia la politica, al fondo di tutto, sconfini con la violenza, e l’eversione sia sempre una tentazione irreversibile, sotto l’uscio di casa.
Quel che la stessa storiografia non ammette, se non in forme minoritarie, è che la guerra civile è la con dizione permanente, che emerge di volta in vol ta, della nostra identità nazionale.Per una sorta di imbarazzo o paura collettiva amiamo circoscriverla agli anni del primo dopoguerra e ad una manciata di anni successivi(per intenderci due bienni: il primo rosso e il secondo nero, 1919-1920 e 1920- 1921 oppure al 1943-1945)).
In realtà invece di segmentare questo processo storico dovremmo abituarci a considerarlo unita riamente, cioè a pensare la guerra civile come il modo di essere dell’Italia unita, anche se viene in superficie in tempi diversi.Dunque la minaccia, il pericolo, l’evento dell’eversione come un processo. Dunque, non un’eccezione, ma il filo lungo di una continuità storica che si manifesta a sprazzi e con fiammate.
Il regime parlamentare è stato l’anello debole della costruzione istituzionale dopo l’Unità. Non lo ama rono la destra e l’estrema sinistra. Ma non basta. A non difenderlo furono anche i riformisti, la cd de stra socialista. Mi limito a citare una dichiarazione altamente significativa.
A chi dai banchi del parlamento gli chiedeva di schierarsi a sua difesa contro le minacce fasciste di abbatterlo, si replicò: ”Quando si minaccia il parla mento e si inneggia alla dittatura,noi vi diciamo, o signori, de re vestra agitur. Il regime liberale parlamentare è vostro, non nostro”. [1] .[13].
Sono le parole di Claudio Treves, il parlamentare milanese più legato a Filippo Turati, un leader del rifirmismo. Eppure grazie al parlamento, e ai go verni non ostili (come quello di Giovanni Giolitti) i socialisti poterono ricevere senza sosta i finan ziamenti per poter appaltare i lavori pubblici alle loro molte cooperative.Su di essi, come rilevò Mario Missiroli, vivevano le loro famiglie.
Grazie al potere del parlamento, l’opposizione socialista in Italia potè organizzarsi, costruire camere del lavoro, cooperative, circoli di lettura, sezioni di partito, sindacati, disporre di un quoti diano nazionale come l’Avanti! e di una vasta rete di stampa locale. Ciò malgrado su questa istituzione resta u’ipoteca. E’ sentita come la chiave di volta del potere della borghesia e l’ambizione di farne quanto prima possibile a meno, se non demolirla, sull’onda di quella che anche i socialisti riformisti, cioè democratici, anticipando i comunisti, amavano chiamare dittatura del proletariato.
Infatti nel congresso di Bologna del 1919 Turati si premurò di tessere l’elogio (sperticato) di Lenin e della rivoluzione russa, e di indicarla ai congressisti come un modello da imitare, una via da seguire. E una manciata di anni più tardi il fior fiore dei dirigenti delle cooperative riformiste ribadirà il proprio consenso all’adesione al Komintern. ”Fare come in Russia” diventa un paradigma.
Ho citato questi giudizi e atteggiamenti dei socialisti non rivoluzionari.Ma per capire come nacque e si radicò l’infatuazione, la mistica, rivoluzionaria nel nostro paese, ricostruita puntual mente da Richard Drake, è necessario rileggere la storia postunitaria del nostro paese. Consiglierei i lo scritto di un ex garibaldino siciliano come Napoleone Colajanni (Nel Regno della mafia, Palermo 1900),e soprattutto l’importante saggio storiogra fico di Serge Noiret su uno dei maggiori esponenti del massimalismo, Nicola Bombacci.
All’unità d’Italia ha fatto seguito l’esecrazione e la lunga lotta armata (scambiata e liquidata come banditismo) contro chi, soprattutto nel Sud, la rifiutava o la contrastava.Anche la legittimazione del fatto compiuto attraverso forme di referendum (manovrati) negli antichi Stati non era sta ta eccelsa. L’industrializzazione di una parte del paese è stata pagata erodendo i poveri redditi contadini, cioè affamandoli ulteriormente. A fine secolo si ebbe il cd colpo di stato della borghesia intestato a Sonnino e alla corona.
A ridosso della guerra del 1915-118 la scena fu occupata da un fenomeno di estremismo ed eversione sociale come la “settimana rossa”. La partecipazione alla prima guerra mondiale assunse le fattezze di un altro colpo di mano contro il parlamento e lo stesso Giolitti ad essa ostili.
Seguirono i due bienni prima citati, in cui proletariato industriale e rurale ,soprattutto nel Settentrione, occuparono fabbriche e campi. Quella del fascismo fu una violenza inizialmente a carico delle istituzioni dello Stato e poi del movimento socialista che faceva seguito alle forti tensioni di classe animate per un verso dagli agrari e per un altro verso dalla resistenza dei socialisti nelle campagne.
Il 1943-1945, e gli anni successivi fino all’inizio degli anni Cinquanta furono segnati dalla guerra civile, dalle vere e proprie rivalse (e rese dei conti), venti anni dopo, dei comunisti sulle violenze subite dalla destra fascista.Successivamente si sposta sul presunto golpismo del comandante dell’Arma dei earabinieri De Lorenzo. Nei decenni successivi il centro dell’attenzione è sull’esplosione del terrorismo “rosso” guidato da Brigate rosse ed altri movi menti di estrema sinistra, e sul terrorismo “ne ro” che culminerà nello scioglimento di due rag gruppamenti eversivi come Ordine nuovo e Avan guarda nazionale, in numerosi attentati a stazioni ferroviarie e piazze ad opera dei gruppi eversivi di estrema destra.
Costante e tenace è l’illegalismo di uno “Stato” dalla vitalità lunga come quello della criminalità mafiosa e camorristica.Semina ecatombe di mor ti sia in Sicilia sia nelle principali citta italiane.
In questa fotografia a grandi linee va ricercata la radice della precarietà della nostra convivenza.
Parlare, però, di un pericolo fascista nell’Italia repubblicana è solo un pregiudizio politico.E’ stata un’invenzione pura e semplice del gruppo dirigente comunista fin dal giorno in cui Alcide De Gasperi, nel 1947, li escluse dal governo. Togliatti su “Rinascita” scrisse, per rivalsa, un lungo saggio di rara faziosità. Il leader democristisano era dipinto come un fascista.
Fu il prologo di una messa cantata che si sviluppò fino ai governi guidati da Silvio Berlusconi (ma in questi giorni ha finito per investire Carlo Calenda, leader del piccolo movimento Azione). Tutti furono rappresentati con l’emble ma spudorato del fascismo-che-ritorna e con la proposta di ridare vita ad una coalizione antifascista di cui il Pci fosse parte integrante.
Ad un ritorno al governo questultimo non poteva aspirare se non agitando lo spauracchio delle camicie nera sotto casa.
In questi giorni è stato rimesso in voga dai talk show della rete Tv7 per accreditare il successo delle liste di sinistra nelle elezioni amministra tive.
A pericoli di destabilizzazione, con insorgenze anche di destra, può portare, invece, uno stato di cose, di valore strutturale, che è sempre più sotto gli occhi di tutti.
Oggi, anno 2021, abbiamo oltre 5 milioni di cittadini in condizioni di povertà assoluta.Dopo il 1871 questa cifra è stata a lungo doppia e tripla. Per non parlare delle diseguaglianze di reddito tra le persone e le regioni, a cui si somma la concentrazione della ricchezza in pochissime mani, che la Banca d’Italia ama documentare regolar mente.
Un’altra radice è la mancata formazione in Italia di partiti organizzati sulla base di ampi interessi e su scala territorialmente estesa, cioè nazionale.Con l’eccezione del partito socialista, le altre forze politiche (liberali)sono state, e continuano ad esser lo, rappresentate da cacicchi locali.
Non c’è mai stata una rappresentanza politica della borghesia come classe economica e sociale, ma solo di segmenti dissociati dei suoi interessi(la meccanica, l’edilizia, il tessile ecc.). Non si è mai formato, malgrado i tentativi di Sonnino, un partito liberale di massa che li congiungesse e se ne facesse garante e banditore sul piano della gestione politica e istituzionale. E’ uno stato di cose in cui si deve leggere un elemento ancora più profondo, cioè la limitatezza, se non l’angustia, dello sviluppo delle forze produttive, cioè del capitalismo italiano.
Dopo la prima guerra mondiale (il PPI) e dopo(la seconda guerra mondiale (la DC), fu il Vaticano attraverso la religione cattolica e la sua estesissima rete organizzativa a supplire a questo deficit di un’assunzione politica concentrata degli interessi di classe.
I due partiti citati rappresentarono, insieme alle esigenze della Chiesa da negoziare con lo Stato liberale, bisogni e valori congiunti di carattere economico e soprattutto sociale, cioè sia della borghesia sia del popolo. Voglio dire che PPI e Dc non furono organizzazioni politiche di classe, espressione cioè delle domande dei ceti borghesi vecchi e nuovi.
Il fascismo nacque quando si ebbe il trasferi mento della violenza armata dalle trincee (a impor la furono gli alti comandi militari con la mobili tazione generale degli anni di guerra) alla società civile.Per fa verità fu questo il modo, a suo tempo anticipato dai socialisti, di trattare con lo Stato e supplire alla sua inefficienza (e non di rado collu sione) nell’incorporare in un ordine statuale conflit ti e tensioni che provenivano dalla società. Penso, per esempio, al riparto dell’imponibile di mano dopera, ai salari e al costo della vita, alle innova zioni tecnologiche negli strumenti di lavoro nell’agricoltura che nella Valle padana aumentano la disoccupazione e incidono sulle rimunerazioni ecc.
I corpi militari, della polizie, dei carabinieri e dell’esercito stesso in alcuni casi, non riuscirono a sedare una domanda di cambiamento che prese sempre più la forma di una valenza eversiva. Dal 1922 in avanti la violenza si fece Stato. Dobbiamo, però, renderci conto che il fenomeno non fu un’eccezione, un aspetto esclusivo dell’Italia post-prima guerra mondiale. A ragione, da parte di E. Nolte, si è introdotta la categoria di guerra civile europea, cioè della interpretazione del fascismo come resistenza e opposizione al bolsce vismo conquerant.
Purtroppo l’attenzione, l’interesse comparato per quanto succedeva fuori dell’Italia non si può dire che sia diffuso (in realtà non è stato presente) nelle ricerche dei nostri ricercatori e studiosi.Farei un’eccezione per Steven Forti, Fabio Fabbri, Enzo Traverso, Serge Noiret, Marco Tarchi, Guido Crainz e Marco Bresciani (con articoli su “Anli della Fondazione Luigi Einaudi” e “Passato e Presente”).
Se ad ogni piè sospinto in Italia si ripete la litania del fascismo-che-torna, ciò è dovuto a due ragioni. La prima, e più significativa, è di origine politica: dopo l’esclusione del Pci, nel 1947, ad opera di A. De Gasperi e della Dc,dai governi del secondo dopoguerra, nei loro confronti come nelle forma zioni politiche moderate(fino a Forza Italia di S. Berlusconi e addirittura ad un piccolo movimeno come Azione di Carlo Calenda) sono scattate campagne di demonizzazione suonando l’allarme sulla reviviscenza del fascismo.
In realtà questo pericolo non è mai esistito davve ro. Si è trattato di un’invenzione dei comunisti dal momento in cui il loro gruppo dirigente si rese conto che potevano essere recuperati solo in coa lizioni governative ampie, di salute pubblica, cioè ispirate all’antifascismo.
La seconda ragione è di natura storiografica, cioè di provincialismo culturale.Mi riferisco alla scarsa eco che finora hanno avuto, per fare un esempio, gli studi Robert Gerwarth e John Horne sulla violenza politica che hanno interessato altri paesi europei e non.
Per l’estremismo di destra e sinistra, Richard Drake ha coniato il lessico onnicomprensivo di una vera e propria mistica rivoluzionaria. Essa riassume, e autoalimenta, l’incapacità di riformare lo Stato dall’interno e i due fattori che ho prima indicato: la mancanza di partiti conservatori (o liberali) di massa e la ristrettezza del capitalismo.
Erano i termini di una situazione che fu al centro –come ho mostrato esaustivamente L. Rapone-della riflessione, e dell’agitazione, politica di Antonio Gramsci negli anni Venti.La si può riproporre, in uno schema interpretativo, come quella odierna?
Direi che dei diversi aspetti, o delle radici, che ho prima indicato, a proseguire è lo stato di povertà assoluta di milioni di cittadini, il lavoro parziale e l’ampia area del lavoro nero, l’insicurezza. Essi si cumulano a due elementi storici del funzionamento dello Stato: la pessima (indegna di uno Stato di diritto) amministrazione della giustizia e la sanità.
Bibliografia
Richard Drake, The Revolutionary Mystique and Terrorism in Contemporary Italy, Indiana University Press 2021.
Napoleone Colajanni, Nel regno della mafia,a cura di Lino Buscemi, Arti Grafiche, Palermo 2021.
Guido Crainz, Padania. Il mondo dei bracci anti dall’Ottiocento alla fuga dalle campagne, Donzelli, Roma 1994.
Fabio Fabbri, Le origini della guerra civile. L’I talia dalla Grande Guerra al fascismo. 1918-1921, Utet,Torino 2008.
Robert Gerwarth, The Vanquished.Why The First World War Failed To End, London, Allen Lane, 2016.
Robert Gerwarth e John Horne, Guerra in pace. Violenza paramilitare dopo la grande guerra, Bruno Mondadori, Milano 2013.
Bloxham D., & Gerwarth R. (Eds.),Political Vi olence in Europe’s Long Twentieth Century, Cambridge University Press 2011.
Serge Noiret, Massimalismo e crisi dello Stato liberale. Nicola Bombacci (1879-1924), Franco Angeli, Milano 1992;.
Leonardo Rapone, Cinque anni che paiono se coli. Antonio Gramsci dal socialismo al comuni smo (1914-1919).Carocci., Roma 2012.
Marco Tarchi, La rivoluzione legale. Identità collet tive e crollo della democrazia in Italia e in Germa nia, Il Mulino, Bologna1994.
E. Traverso, A ferro e fuoco. Una guerra civile europea 1914-1945, il Mulino, Bologna 2007.
Id. L’Histoire comme champ de bataille:interpre ter les violences de XXe siècle, Paris, La Decouver te 2011.
[1] [12] [13] C.Treves , Discorsi parlamentari, Camera dei deputati, Roma 1922, p. 459.
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